IL TRIBUNALE Il G.U., dott.ssa Barbara Tango, letti gli atti sciolta la riserva, rileva quanto segue. Nella procedura espropriativa iscritta al n. 478/010 R.G. l'attuale opponente con atto ex art. 543 del codice di procedura civile, sottoponeva a pignoramento le somme dovute alla ASL NA 2 Nord dal Banco di Napoli S.p.A. (terzo pignorato e tesoriere dell'ente) e con ordinanza del 14 marzo 2011, non comunicata, il G.E., ritenuta l'applicabilita' alla fattispecie dell'art. 1, comma 51, legge 13 dicembre 2010, n. 220, dichiarava la improcedibilita' della procedura esecutiva. Spiegando tempestiva opposizione ex art. 617 del codice di procedura civile avverso siffatto provvedimento, le due societa' procedenti assumevano, in primo luogo, l'illegittimita' costituzionale del citato art. 1, comma 51, legge n. 220/2010 per violazione degli artt. 3, 24, 97, 111, 113, 117 della Costituzione. Ritiene questo giudice di dover sottoporre allo scrutinio della Consulta la conformita' dell'art. 1, comma 51, legge 220/2010 ai principi supremi sanciti dagli artt. 3, 24, 41 e 111 della Carta costituzionale. Va rilevato che in un primo momento il legislatore statale ha introdotto l'art. 2, comma 89, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nel quale alla temporanea inibitoria al promovimento e alla prosecuzione delle azioni esecutive in danno di aziende sanitarie e ospedaliere delle regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari («Al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi dei piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, nella loro unitarieta', anche mediante il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti accertati in attuazione dei medesimi piani, per un periodo di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime») si accompagnava la liberazione, con efficacia retroattiva, dei beni-crediti staggiti dai vincoli apposti con pignoramenti gia' eventualmente eseguiti e la dispensa dei terzi pignorati dagli obblighi di custodia tipicamente operanti nelle procedure espropriative presso terzi («i pignoramenti eventualmente eseguiti non vincolano gli enti debitori e i tesorieri, i quali possono disporre delle somme per le finalita' istituzionali degli enti»), con il risultato di determinare la radicale inefficacia ex post del pignoramento e il recupero da parte degli enti debitori della giuridica disponibilita' delle somme pignorate. Successivamente fu emesso l'art. 11, comma secondo, decreto-legge 25 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, che stabiliva che «Per le regioni gia' sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e gia' commissariate alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi dei medesimi piani di rientro nella loro unitarieta', anche mediante il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti accertati in attuazione dei medesimi piani, i commissari ad acta procedono, entro quindici giorni dall'entrata in vigore del presente decreto-legge, alla conclusione della procedura di ricognizione di tali debiti, predisponendo un piano che individui modalita' e tempi di pagamento. Al fine di agevolare quanto previsto dal presente comma ed in attuazione di quanto disposto nell'intesa sancita dalla Conferenza Stato-regioni nella seduta del 3 dicembre 2009, all'art. 13, comma 15, fino al 31 dicembre 2010 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime». Il divieto di iniziare o proseguire procedure espropriative e' stato poi ulteriormente ribadito - ed ancora con la previsione del cd. svincolo delle somme aggredite in executivis - dall'art. 1, comma 51 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (cd. legge di stabilita' 2011), formulato nel seguente modo: «al fine di assicurare il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti oggetto della ricognizione di cui all'art. 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per le regioni gia' sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e gia' commissariate alla data di entrata in vigore della presente legge, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2011. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2011 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalita' istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo». Da ultimo, l'efficacia della norma ora trascritta e' stata prorogata sino a tutto il 31 dicembre 2012 in conseguenza della interpolazione del termine finale disposta dall'art. 17, quarto comma, lettera e2), decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111. L'analisi ermeneutica della disposizione censurata (l'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010) non puo' altresi' prescindere dalla disamina del contesto normativo di riferimento individuato, attraverso una puntuale relatio operata nella stessa disposizione, nella disciplina dettata dalla legge n. 311/2004 (cd. legge finanziaria 2005), e segnatamente nell'art. 1, commi da 164 in avanti. In estrema sintesi e per quanto qui interessa, tali norme prevedono: che lo Stato concorra al ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale mediante un finanziamento integrativo, teso a garantire che l'obiettivo del raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario da parte delle regioni sia conseguito nel rispetto della garanzia della tutela della salute (commi 164 e 169); l'accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato e' subordinato alla stipula di una specifica intesa tra Stato e regioni, che ai fini del contenimento della dinamica dei costi deve contemplare una serie di parametri (specificati nel comma 173); in caso di sussistenza di una situazione di squilibrio e proprio al fine del rispetto dell'equilibrio economico-finanziario, alle regioni e' fatto obbligo di adottare i provvedimenti necessari, con la precisazione che, qualora la regione non provveda, si procede al commissariamento secondo la procedura di cui all'art. 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131; in quest'ultima ipotesi spetta al presidente della regione, in qualita' di commissario ad acta, approvare il bilancio di esercizio consolidato del servizio sanitario regionale al fine di determinare il disavanzo di gestione e di stabilire le opportune misure per il suo ripianamento; al verificarsi delle descritte condizioni, la regione interessata procede ad una ricognizione delle cause dello squilibrio ed elabora un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del servizio sanitario regionale, di durata non superiore al triennio. I Ministri della salute e dell'economia e finanze e la singola regione stipulano apposito accordo che individua gli interventi necessari per perseguire l'equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza: la sottoscrizione dell'accordo e' condizione necessaria per l'attribuzione alla regione interessata del maggiore finanziamento in maniera parziale e graduale, subordinatamente alla verifica dell'effettiva attuazione del programma (comma 180). La ratio legis sottesa alla norma in discorso e' la seguente: il «blocco» delle azioni esecutive mira a consentire la realizzazione dei piani di rientro dai disavanzi sanitari predisposti dalle regioni commissariate diretti non solo a ripristinare l'equilibrio finanziario del settore sanitario, ma anche ad assicurare - attraverso la compartecipazione dello Stato merce' finanziamenti integrativi - la riorganizzazione ed il risanamento del servizio sanitario, garantendo comunque la tutela della salute e modalita' di erogazione delle prestazioni sanitarie nell'osservanza dei livelli essenziali di assistenza. L'obiettivo dell'attuazione dei piani di rientro e del contemporaneo mantenimento dei livelli di assistenza presuppone che la p.a. conservi integri e nel loro complesso i beni strumentali e funzionali all'erogazione delle prestazioni sanitarie, nonostante l'esposizione debitoria. Per soddisfare siffatta esigenza, il legislatore ha voluto escludere che nei confronti delle aziende sanitarie ed ospedaliere facenti parte delle regioni in condizioni di disavanzo economico-finanziario possano essere attivate o completate procedure di espropriazione forzata, dacche' queste ultime, comportando la sottrazione di beni lato sensu funzionali all'erogazione del servizio sanitario, possono in concreto ostacolare l'attuazione dei piani di rientro, e quindi degli obiettivi di risanamento finanziario, di riorganizzazione e di mantenimento dei livelli essenziali di assistenza nel settore sanitario. Cio' rilevato, ritiene questo giudice che la norma esaminata confligga con i principi supremi scolpiti nella Carta costituzionale. In primo luogo va rilevato che il temporaneo esonero dall'aggressione esecutiva sembra rivolto ad aziende sanitarie ed ospedaliere per il solo fatto della loro appartenenza a regioni in situazione di dissesto sanitario e percio' sottoposte a commissariamento, come accaduto, per quanto qui interessa, per la regione Campania (con delibera del Consiglio dei Ministri del 24 luglio 2009, il presidente pro tempore della regione Campania e' stato nominato commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario a norma dell'art. 4, decreto-legge 20 ottobre 2007, n. 159, convertito in legge 29 novembre 2007, n. 222; la nomina e' stata poi confermata dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 24 gennaio 2010). In altre parole il divieto delle espropriazioni forzate e' concepito come teleologicamente finalizzato all'utile esperimento dell'iter amministrativo di ripianamento dei disavanzi ma non postula, nemmeno per implicito, una concreta verifica circa l'inizio della procedura ad hoc prevista dalla legge ovvero un determinato stadio di avanzamento di essa ne', a malori, l'avvenuta adozione di un piano di ricognizione dei debiti: decisiva valenza, per la connotazione negli illustrati termini di strumentalita', riveste la chiara locuzione «al fine di assicurare il regolare svolgimento», costituente l'incipit dell'art. 1, comma 51, in disamina. Sotto altro profilo, e' necessario interrogarsi sugli effetti conseguenti ad un'eventuale inosservanza del divieto. La risposta offerta dalla norma e' univocamente orientata verso la sanzione della inammissibilita' (per i pignoramenti eseguiti posteriormente alla vigenza della legge) ovvero della improcedibilita' (per i pignoramenti anteriori) delle procedure esecutive, quindi non una mera temporanea preclusione al compimento di atti della procedura espropriativa funzionali al dispiegarsi della stessa verso esiti idonei alla soddisfazione della pretesa creditoria, ma una chiusura anticipata del procedimento, una sua definizione con modalita' non satisfattive del diritto azionato; sul punto e' chiaro il tenore letterale ella norma che prevede la radicale inefficacia dei pignoramenti compiuti in spregio del divieto (e quindi posteriormente alla sua introduzione nell'ordito positivo), inefficacia estesa in via retroattiva anche ai pignoramenti effettuati in epoca anteriore alla vigenza della legge n. 220/2010. In definitiva: il divieto di azioni esecutive opera sic et simpliciter nei riguardi delle aziende sanitarie ed ospedaliere facenti parte delle regioni commissariare per disavanzi sanitari; l'inosservanza del divieto comporta l'inefficacia dei pignoramenti eseguiti (anche in epoca pregressa) e la chiusura anticipata (per inammissibilita'/improcedibilita') dell'espropriazione. In tal modo inteso, l'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010 appare, ad avviso di questo Tribunale, manifestamente in contrasto con svariate norme di rango primario, ed in primo luogo con l'art. 24 della Costituzione. Partendo dal principio secondo cui il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ex art. 24 Cost. comprende la fase dell'esecuzione forzata, il sospetto di incostituzionalita' avanzato appare fondato atteso che il divieto di azioni esecutive previsto - da ultimo - dall'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010, sembra invero integrare una irragionevole e non giustificata compressione del diritto di azione tutelato ex art. 24 Cost., sub specie di diritto a procedere alla coattiva soddisfazione del credito, avuto riguardo: sotto il profilo oggettivo, al carattere assoluto della dispensa dalla aggressione in via esecutiva, riferita non gia' a specifici beni appartenenti al debitore esecutato individuati in base alla destinazione funzionale al perseguimento di prefissati obiettivi di primaria rilevanza per la collettivita', sebbene all'intero patrimonio, indistintamente considerato, dell'azienda sanitaria oppure ospedaliera debitrice; alla estensione temporale del divieto, protratto, in conseguenza della reiterazione di provvedimenti normativi di contenuto omologo, per una durata complessiva superiore (salve ulteriori future e non imprevedibili proroghe), a trentuno mesi consecutivi (da maggio 2010 a dicembre 2012), con una negazione del diritto ad esperire procedure di espropriazione forzata non piu' qualificabile come meramente transitoria, quanto e piuttosto come eccedente il ragionevole limite di tollerabilita'; ai presupposti di applicabilita' del divieto, costituiti, come meglio sopra precisato, unicamente dalla condizione soggettiva della p.a. debitrice, e cioe' dalla natura di azienda sanitaria o ospedaliera ricompresa in una delle regioni commissariate ai sensi della legge n. 311/2004. Per quanto concerne quest'ultimo aspetto, la irragionevolezza della limitazione imposta al diritto di azione emerge dal raffronto con le disposizioni che restringono la possibilita' delle espropriazioni forzate in danno di enti sanitari attraverso vincoli di impignorabilita' di determinati beni. Il riferimento e' all'art. 1, comma quinto, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67) nel contenuto precettivo risultante all'esito della pronuncia additiva della Consulta (Corte costituzionale, sent. 19 giugno 1995, n. 285). In tale ipotesi, il vincolo di impignorabilita' in favore di enti esercenti assistenza sanitaria concerne unicamente beni specificati per natura (somme di denaro) finalisticamente devoluti a funzioni ed attivita' della p.a. definiti dal legislatore di primaria importanza (il pagamento degli stipendi al personale, di ratei di mutui, l'erogazione di servizi sanitari essenziali), postula l'adozione di un provvedimento amministrativo (la delibera dell'ente di quantificazione preventiva degli importi occorrenti, nell'arco temporale di operativita' dell'atto, per appagare i bisogni ex lege qualificati primari) ed e' condizionato, in punto di efficacia, dal riscontro dell'effettivo utilizzo secondo gli scopi prestabiliti delle somme dichiarate indisponibili e pertanto sottratte all'espropriazione forzata: l'impignorabilita' infatti non opera qualora l'ente pubblico distragga le somme, cioe' a dire le impieghi per finalita' differenti da quelle salvaguardate dalla legge (emettendo mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati senza seguire l'ordine cronologico di ricezione delle fatture ovvero, ove non prescritta fattura, di adozione delle deliberazioni di impegno di spesa). Una fattispecie cosi' strutturata consente di controllare ex post la concreta attuazione delle finalita' di rilievo pubblico giustificanti, nella discrezionale valutazione comparativa degli interessi compiuta dal legislatore, la restrizione dell'oggetto delle possibili azioni esecutive: essa e' stata pertanto assunta come paradigma di riferimento dalla Consulta e da questa estesa, con pronunce additive, anche alla disciplina degli enti locali (il richiamo e' alle declaratorie di incostituzionalita' rese dalla Corte costituzionale con le sentenze 20 marzo 1998, n. 69 - relativa all'art. 113, terzo comma, decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77 - e 18 giugno 2003, n. 211 - relativa all'art. 159, secondo comma, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, cd. T.U.E.L.). Un meccanismo analogo o in qualche modo similare e' invece del tutto mancante nella disposizione qui censurata, ancorche' prima facie non difficile da configurare (per ricalcare lo schema illustrato, l'impedimento alle azioni esecutive poteva essere sottoposto alla duplice condizione dell'avvenuta adozione del piano di ricognizione dei debiti e del pagamento di essi ad opera dell'azienda sanitaria secondo criteri razionali predeterminati dalla legge). In conseguenza, il sacrificio del diritto di azione del creditore (che nell'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010 e' oltremodo totale, per essere in radice preclusa ogni espropriazione forzata nello spatium temporis definito dalla norma) rischia in concreto di divenire arbitrario e privo di giustificazione causale, dacche' a fronte della piena disponibilita' dell'intero suo patrimonio (nonche' della liberazione dei beni-crediti gia' pignorati) l'azienda sanitaria debitrice ben potrebbe destinare le risorse finanziarie ad impieghi differenti dall'estinzione dei debiti da risanare, continuando a beneficiare dell'esonero dall'aggressione esecutiva (nella controversia in discorso, ad esempio, la ASL Napoli 1 Centro, esecutata-opposta, non ha allegato - e a fortiori provato - nemmeno l'esistenza del prescritto piano di ricognizione dei debiti). Ancor piu' palese e' il vulnus al diritto di azione nell'ipotesi - ricorrente nella vicenda in parola - di pignoramento eseguito in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 220/2010. Qui il divieto di dare ulteriore corso al procedimento espropriativo con le ricadute operative innanzi descritte (la chiusura anticipata della procedura con pronuncia di definizione in rito, la vanificazione retroattiva di tutti gli effetti derivanti da un atto di pignoramento razione temporis legittimamente eseguito) si traduce, infatti, per il creditore pignorante in un pregiudizio di natura patrimoniale (che si aggiunge alle conseguenze lesive del diritto di azione sopra evidenziate), consistente nel dover sopportare, in nome di una infruttuosita' stabilita per edictum principis, gli esborsi per gli atti processuali gia' compiuti (spese vive e competenze professionali del difensore). Di palmare evidenza risulta, poi, la violazione del basilare principio di uguaglianza sancito dall'art. 3, comma primo, della Costituzione. Come acutamente gia' osservato dal giudice delle leggi occupandosi della -per vari versi antesignana dell'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010 - legge regionale Campania del 19 gennaio 2009, n. 1, il blocco dei pignoramenti in danno delle aziende sanitarie ed ospedaliere «introduce una limitazione al soddisfacimento patrimoniale delle ragioni dei creditori [...] assegnando alle situazioni soggettive di coloro che hanno avuto rapporti patrimoniali con quegli enti un regime, sostanziale e processuale, peculiare rispetto a quello (ordinario, previsto dal codice civile e da quello di procedura civile) altrimenti applicabile» (cosi' la Corte costituzionale nella citata sentenza 26 marzo 2010, n. 123). A ben vedere, siffatta peculiare disciplina concreta, sotto un duplice aspetto, una disparita' di trattamento in pregiudizio dei creditori delle aziende sanitarie ed ospedaliere delle regioni commissariate. In primo luogo, per la tangibile discriminazione rispetto ai soggetti creditori di aziende sanitarie ed ospedaliere ubicate nelle regioni non commissariate per disavanzi nel settore sanitario, per i quali l'impedimento alla coattiva realizzazione delle pretese creditorie stabilito dall'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010 non opera: situazioni quindi omologhe ma dal jus positum regolate in maniera differente. Ancora, e soprattutto, rispetto alle aziende sanitarie ed ospedaliere cui si rivolge la norma: quest'ultime, benche' debitrici e quindi potenzialmente destinatarie di azioni esecutive, godono di una sorta di immunita' totale dall'espropriazione forzata correlata ad un mero status soggettivo (l'essere aziende sanitarie o ospedaliere ubicate in regioni commissariate per disavanzi nel settore sanitario) secondo un criterio di selezione che, peraltro, suscita non insignificanti perplessita' (potendosi ad esempio verificare che beneficiaria del blocco dei pignoramenti sia un'azienda sanitaria che, pur facendo parte di una regione commissariata, non versi in difficolta' economiche). Ne deriva un vero e proprio privilegio processuale dell'ente pubblico che non soltanto sovverte la condizione dei protagonisti dell'espropriazione forzata ordinariamente delineata dal codice di rito (nel quale, come e' noto, il debitore esecutato si trova in condizione di soggezione, dovendo subire la privazione di propri beni per il soddisfacimento dell'altrui diritto) ma si appalesa ancor piu' irragionevole, ove si consideri che le aziende sanitarie usufruiscono di un - altresi' peculiare - regime di impignorabilita' avente ad oggetto beni destinati all'espletamento di servizi pubblici essenziali (quale stabilito dall'art. 1, comma quinto, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9) che continua ad operare e si cumula, con conseguenze esiziali per le pretese creditorie, con il divieto di pignoramenti imposto dalla norma qui tacciata di incostituzionalita'. Ulteriori dubbi investono poi la conformita' della disposizione in rassegna con il principio del giusto processo come declamato nell'art. 111, secondo comma, Cost. Il divieto delle azioni esecutive si pone infatti in irrimediabile contrasto con il contenuto precettivo caratterizzante la citata norma primaria, ovvero, segnatamente, con la solenne affermazione dei principi: della parita' delle armi tra i contraddittori in lite, in ragione della sopra diffusamente evidenziata posizione di ingiustificato privilegio attribuita alla p.a. parte esecutata dall'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010; della durata ragionevole del processo, gravemente compromessa dalla non esercitabilita' della tutela giurisdizionale esecutiva per il considerevole di tempo previsto dalle succedutesi disposizioni di legge (assommante, come sopra specificato, a trentuno mesi consecutivi): al riguardo, e' appena il caso di rammentare come, secondo l'opinione preferibile, la valutazione in ordine alla ragionevolezza della durata del processo vada calibrata non gia' sulla singola azione spiegata, bensi' sulla pretesa sostanziale fatta valere in giudizio, cioe' a dire sul tempo processuale complessivamente occorrente per ottenere la concreta realizzazione del bene della vita di cui si e' invocata tutela. Le considerazioni sin qui illustrate convincono della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma e 111, secondo comma, della Costituzione dell'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010 nella parte in cui vieta di intraprendere e di proseguire azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni commissariate per disavanzo nel settore sanitario. Quanto alla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010, e' sufficiente osservare, come la presente controversia di opposizione agli atti esecutivi verta sulla correttezza di una ordinanza con cui e' stata pronunciata, proprio ai sensi della menzionata norma, la improcedibilita' di una espropriazione forzata intrapresa (con atto di pignoramento eseguito il 20 aprile 2010) in danno dell'ASL NA 2 Nord facente parte della regione Campania, commissariati per dissesto sanitario. Risulta pertanto evidente come solo alla pronuncia di incostituzionalita' dell'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010 possa conseguire l'accoglimento della opposizione ex art. 617 del codice di procedura civile, l'annullamento della ordinanza resa dal g.e. e quindi, ricorrendone gli ulteriori presupposti, la soddisfazione del diritto di credito fatto valere in executivis dal creditore procedente-opposto. Rimessa alla Consulta la soluzione dell'incidente di costituzionalita' con le modalita' prescritte dall'art. 23 della legge 11 marzo 1957, n. 83, va, per l'effetto, disposta la sospensione del presente giudizio.