IL TRIBUNALE 
 
    Il G.U., dott.ssa  Barbara  Tango,  letti  gli  atti  sciolta  la
riserva, rileva quanto segue. 
    Nella  procedura  espropriativa  iscritta  al  n.  478/010   R.G.
l'attuale opponente con atto ex art.  543  del  codice  di  procedura
civile, sottoponeva a pignoramento le somme dovute alla ASL NA 2 Nord
dal Banco di Napoli S.p.A. (terzo pignorato e tesoriere dell'ente)  e
con ordinanza del 14 marzo 2011, non comunicata,  il  G.E.,  ritenuta
l'applicabilita' alla fattispecie dell'art. 1,  comma  51,  legge  13
dicembre 2010, n. 220, dichiarava la improcedibilita' della procedura
esecutiva. 
    Spiegando tempestiva  opposizione  ex  art.  617  del  codice  di
procedura civile avverso  siffatto  provvedimento,  le  due  societa'
procedenti   assumevano,    in    primo    luogo,    l'illegittimita'
costituzionale del citato art. 1, comma 51,  legge  n.  220/2010  per
violazione degli artt. 3, 24, 97, 111, 113, 117 della Costituzione. 
    Ritiene questo giudice di dover sottoporre allo  scrutinio  della
Consulta la conformita' dell'art. 1,  comma  51,  legge  220/2010  ai
principi supremi sanciti dagli artt. 3, 24,  41  e  111  della  Carta
costituzionale. 
    Va rilevato che in un primo momento  il  legislatore  statale  ha
introdotto l'art. 2, comma 89, della legge 23 dicembre 2009, n.  191,
nel  quale  alla  temporanea  inibitoria  al  promovimento   e   alla
prosecuzione delle azioni esecutive in danno di aziende  sanitarie  e
ospedaliere  delle  regioni  sottoposte  ai  piani  di  rientro   dai
disavanzi sanitari («Al fine di  assicurare  il  conseguimento  degli
obiettivi dei piani di rientro dai disavanzi  sanitari,  sottoscritti
ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge  30  dicembre  2004,  n.
311,  e  successive  modificazioni,  nella  loro  unitarieta',  anche
mediante il regolare svolgimento dei pagamenti dei  debiti  accertati
in attuazione dei medesimi piani, per un periodo di dodici mesi dalla
data di entrata in vigore della presente  legge  non  possono  essere
intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle  aziende
sanitarie  locali  e  ospedaliere   delle   regioni   medesime»)   si
accompagnava  la  liberazione,   con   efficacia   retroattiva,   dei
beni-crediti staggiti  dai  vincoli  apposti  con  pignoramenti  gia'
eventualmente eseguiti  e  la  dispensa  dei  terzi  pignorati  dagli
obblighi   di   custodia   tipicamente   operanti   nelle   procedure
espropriative presso terzi («i  pignoramenti  eventualmente  eseguiti
non vincolano gli enti  debitori  e  i  tesorieri,  i  quali  possono
disporre delle somme per le finalita' istituzionali degli enti»), con
il risultato di determinare  la  radicale  inefficacia  ex  post  del
pignoramento e  il  recupero  da  parte  degli  enti  debitori  della
giuridica disponibilita' delle somme pignorate. 
    Successivamente fu emesso l'art. 11, comma secondo, decreto-legge
25 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122,
che stabiliva che «Per le regioni gia' sottoposte ai piani di rientro
dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive  modificazioni,  e
gia' commissariate alla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto-legge, al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi
dei medesimi piani di rientro nella loro unitarieta', anche  mediante
il  regolare  svolgimento  dei  pagamenti  dei  debiti  accertati  in
attuazione dei medesimi piani, i commissari ad acta procedono,  entro
quindici giorni dall'entrata in vigore  del  presente  decreto-legge,
alla conclusione della procedura  di  ricognizione  di  tali  debiti,
predisponendo un piano che individui modalita' e tempi di  pagamento.
Al fine di  agevolare  quanto  previsto  dal  presente  comma  ed  in
attuazione di quanto disposto nell'intesa  sancita  dalla  Conferenza
Stato-regioni nella seduta del 3 dicembre 2009,  all'art.  13,  comma
15, fino  al  31  dicembre  2010  non  possono  essere  intraprese  o
proseguite azioni esecutive nei  confronti  delle  aziende  sanitarie
locali e ospedaliere delle regioni medesime». 
    Il divieto di iniziare o proseguire  procedure  espropriative  e'
stato poi ulteriormente ribadito - ed ancora con  la  previsione  del
cd. svincolo delle somme aggredite in executivis - dall'art. 1, comma
51 della legge 13 dicembre 2010, n.  220  (cd.  legge  di  stabilita'
2011), formulato  nel  seguente  modo:  «al  fine  di  assicurare  il
regolare  svolgimento  dei  pagamenti  dei   debiti   oggetto   della
ricognizione di cui all'art. 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122, per le regioni gia' sottoposte ai piani di rientro  dai
disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi  dell'art.  1,  comma  180,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive  modificazioni,  e
gia' commissariate alla data di  entrata  in  vigore  della  presente
legge, non possono essere intraprese o  proseguite  azioni  esecutive
nei confronti delle aziende  sanitarie  locali  e  ospedaliere  delle
regioni medesime, fino al 31  dicembre  2011.  I  pignoramenti  e  le
prenotazioni a debito  sulle  rimesse  finanziarie  trasferite  dalle
regioni di cui al presente comma  alle  aziende  sanitarie  locali  e
ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima  della  data  di
entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 122 del  2010,  non  producono  effetti
dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2011 e non vincolano gli enti
del servizio sanitario regionale  e  i  tesorieri,  i  quali  possono
disporre, per le finalita' istituzionali  dei  predetti  enti,  delle
somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo». 
    Da ultimo,  l'efficacia  della  norma  ora  trascritta  e'  stata
prorogata sino a tutto il  31  dicembre  2012  in  conseguenza  della
interpolazione del  termine  finale  disposta  dall'art.  17,  quarto
comma, lettera e2), decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98,  convertito
nella legge 15 luglio 2011, n. 111. 
    L'analisi ermeneutica della  disposizione  censurata  (l'art.  1,
comma 51, legge n. 220/2010)  non  puo'  altresi'  prescindere  dalla
disamina  del  contesto   normativo   di   riferimento   individuato,
attraverso una puntuale relatio operata  nella  stessa  disposizione,
nella  disciplina  dettata  dalla  legge  n.  311/2004   (cd.   legge
finanziaria 2005), e  segnatamente  nell'art.  1,  commi  da  164  in
avanti. 
    In estrema  sintesi  e  per  quanto  qui  interessa,  tali  norme
prevedono: 
    che lo Stato concorra  al  ripiano  dei  disavanzi  del  Servizio
sanitario nazionale mediante un  finanziamento  integrativo,  teso  a
garantire  che   l'obiettivo   del   raggiungimento   dell'equilibrio
economico finanziario da  parte  delle  regioni  sia  conseguito  nel
rispetto della garanzia della tutela della salute (commi 164 e  169);
l'accesso al  finanziamento  integrativo  a  carico  dello  Stato  e'
subordinato alla stipula di una specifica intesa tra Stato e regioni,
che  ai  fini  del  contenimento  della  dinamica  dei   costi   deve
contemplare una serie di parametri (specificati nel comma 173); 
    in caso di sussistenza di una situazione di squilibrio e  proprio
al fine  del  rispetto  dell'equilibrio  economico-finanziario,  alle
regioni e' fatto obbligo di adottare i provvedimenti  necessari,  con
la precisazione che, qualora la regione non provveda, si  procede  al
commissariamento secondo la procedura di cui  all'art.  8,  comma  1,
della legge 5 giugno 2003, n. 131; 
    in quest'ultima ipotesi spetta al presidente  della  regione,  in
qualita' di commissario ad acta, approvare il bilancio  di  esercizio
consolidato del servizio sanitario regionale al fine  di  determinare
il disavanzo di gestione e di stabilire le opportune  misure  per  il
suo ripianamento; 
    al verificarsi delle descritte condizioni, la regione interessata
procede ad una ricognizione delle cause dello squilibrio  ed  elabora
un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o  di
potenziamento  del  servizio  sanitario  regionale,  di  durata   non
superiore al triennio. I Ministri  della  salute  e  dell'economia  e
finanze e la singola regione stipulano apposito accordo che individua
gli interventi necessari per perseguire  l'equilibrio  economico  nel
rispetto dei livelli  essenziali  di  assistenza:  la  sottoscrizione
dell'accordo e' condizione necessaria per l'attribuzione alla regione
interessata  del  maggiore  finanziamento  in  maniera   parziale   e
graduale, subordinatamente alla  verifica  dell'effettiva  attuazione
del programma (comma 180). 
    La ratio legis sottesa alla norma in discorso e' la seguente:  il
«blocco» delle azioni esecutive mira a  consentire  la  realizzazione
dei piani di rientro dai disavanzi sanitari predisposti dalle regioni
commissariate  diretti   non   solo   a   ripristinare   l'equilibrio
finanziario  del  settore  sanitario,  ma  anche  ad   assicurare   -
attraverso la  compartecipazione  dello  Stato  merce'  finanziamenti
integrativi - la riorganizzazione  ed  il  risanamento  del  servizio
sanitario, garantendo comunque la tutela della salute e modalita'  di
erogazione delle prestazioni sanitarie  nell'osservanza  dei  livelli
essenziali di assistenza. 
    L'obiettivo  dell'attuazione  dei  piani   di   rientro   e   del
contemporaneo mantenimento dei livelli di assistenza  presuppone  che
la p.a. conservi integri e nel loro complesso i  beni  strumentali  e
funzionali all'erogazione  delle  prestazioni  sanitarie,  nonostante
l'esposizione debitoria. 
    Per  soddisfare  siffatta  esigenza,  il  legislatore  ha  voluto
escludere che nei confronti delle aziende  sanitarie  ed  ospedaliere
facenti   parte   delle   regioni   in   condizioni   di    disavanzo
economico-finanziario possano essere attivate o completate  procedure
di espropriazione forzata,  dacche'  queste  ultime,  comportando  la
sottrazione di beni lato sensu funzionali all'erogazione del servizio
sanitario, possono in concreto ostacolare l'attuazione dei  piani  di
rientro, e quindi degli  obiettivi  di  risanamento  finanziario,  di
riorganizzazione  e  di  mantenimento  dei  livelli   essenziali   di
assistenza nel settore sanitario. 
    Cio' rilevato, ritiene questo  giudice  che  la  norma  esaminata
confligga con i principi supremi scolpiti nella Carta costituzionale. 
    In  primo  luogo  va   rilevato   che   il   temporaneo   esonero
dall'aggressione esecutiva sembra rivolto  ad  aziende  sanitarie  ed
ospedaliere per il solo fatto della loro appartenenza  a  regioni  in
situazione   di   dissesto   sanitario   e   percio'   sottoposte   a
commissariamento, come accaduto, per quanto  qui  interessa,  per  la
regione Campania (con delibera del  Consiglio  dei  Ministri  del  24
luglio 2009, il presidente pro  tempore  della  regione  Campania  e'
stato nominato commissario ad acta  per  l'attuazione  del  piano  di
rientro dal disavanzo sanitario a norma dell'art. 4, decreto-legge 20
ottobre 2007, n. 159, convertito in legge 29 novembre 2007,  n.  222;
la nomina e' stata poi confermata dalla delibera  del  Consiglio  dei
Ministri del 24 gennaio 2010). 
    In altre  parole  il  divieto  delle  espropriazioni  forzate  e'
concepito come  teleologicamente  finalizzato  all'utile  esperimento
dell'iter  amministrativo  di  ripianamento  dei  disavanzi  ma   non
postula, nemmeno per implicito, una concreta verifica circa  l'inizio
della procedura ad hoc prevista dalla  legge  ovvero  un  determinato
stadio di avanzamento di essa ne', a malori, l'avvenuta  adozione  di
un piano  di  ricognizione  dei  debiti:  decisiva  valenza,  per  la
connotazione negli illustrati termini di strumentalita',  riveste  la
chiara locuzione «al fine di  assicurare  il  regolare  svolgimento»,
costituente l'incipit dell'art. 1, comma 51, in disamina. 
    Sotto altro profilo, e'  necessario  interrogarsi  sugli  effetti
conseguenti ad un'eventuale inosservanza del divieto. 
    La risposta offerta dalla norma e' univocamente  orientata  verso
la sanzione  della  inammissibilita'  (per  i  pignoramenti  eseguiti
posteriormente   alla   vigenza    della    legge)    ovvero    della
improcedibilita'  (per  i  pignoramenti  anteriori)  delle  procedure
esecutive, quindi non una mera temporanea preclusione  al  compimento
di atti della procedura espropriativa funzionali al dispiegarsi della
stessa  verso  esiti  idonei   alla   soddisfazione   della   pretesa
creditoria, ma una chiusura  anticipata  del  procedimento,  una  sua
definizione con modalita' non satisfattive del diritto azionato;  sul
punto e' chiaro  il  tenore  letterale  ella  norma  che  prevede  la
radicale inefficacia dei pignoramenti compiuti in spregio del divieto
(e quindi posteriormente alla sua introduzione nell'ordito positivo),
inefficacia  estesa  in  via  retroattiva   anche   ai   pignoramenti
effettuati in epoca anteriore alla vigenza della legge n. 220/2010. 
    In definitiva: il  divieto  di  azioni  esecutive  opera  sic  et
simpliciter nei  riguardi  delle  aziende  sanitarie  ed  ospedaliere
facenti parte delle regioni  commissariare  per  disavanzi  sanitari;
l'inosservanza del divieto comporta  l'inefficacia  dei  pignoramenti
eseguiti (anche in epoca pregressa) e  la  chiusura  anticipata  (per
inammissibilita'/improcedibilita') dell'espropriazione. 
    In tal modo inteso, l'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010 appare,
ad avviso  di  questo  Tribunale,  manifestamente  in  contrasto  con
svariate norme di rango primario, ed in primo  luogo  con  l'art.  24
della Costituzione. 
    Partendo dal  principio  secondo  cui  il  diritto  di  agire  in
giudizio per la tutela dei propri diritti ex art. 24 Cost.  comprende
la fase dell'esecuzione forzata, il sospetto  di  incostituzionalita'
avanzato appare fondato atteso che il  divieto  di  azioni  esecutive
previsto - da ultimo - dall'art. 1,  comma  51,  legge  n.  220/2010,
sembra  invero  integrare  una  irragionevole  e   non   giustificata
compressione del diritto di azione tutelato ex  art.  24  Cost.,  sub
specie  di  diritto  a  procedere  alla  coattiva  soddisfazione  del
credito, avuto riguardo: 
    sotto il profilo oggettivo, al carattere assoluto della  dispensa
dalla aggressione in via esecutiva, riferita  non  gia'  a  specifici
beni appartenenti al debitore  esecutato  individuati  in  base  alla
destinazione funzionale al perseguimento di prefissati  obiettivi  di
primaria  rilevanza  per   la   collettivita',   sebbene   all'intero
patrimonio,  indistintamente  considerato,   dell'azienda   sanitaria
oppure ospedaliera debitrice; 
    alla estensione temporale del divieto, protratto, in  conseguenza
della reiterazione di provvedimenti normativi di  contenuto  omologo,
per una durata complessiva superiore (salve ulteriori  future  e  non
imprevedibili proroghe), a trentuno mesi consecutivi (da maggio  2010
a dicembre 2012), con una negazione del diritto ad esperire procedure
di espropriazione  forzata  non  piu'  qualificabile  come  meramente
transitoria, quanto e piuttosto come eccedente il ragionevole  limite
di tollerabilita'; 
    ai presupposti di applicabilita' del  divieto,  costituiti,  come
meglio sopra precisato, unicamente dalla condizione soggettiva  della
p.a.  debitrice,  e  cioe'  dalla  natura  di  azienda  sanitaria   o
ospedaliera ricompresa in una delle regioni  commissariate  ai  sensi
della legge n. 311/2004. 
    Per quanto concerne  quest'ultimo  aspetto,  la  irragionevolezza
della limitazione imposta al diritto di azione emerge  dal  raffronto
con  le  disposizioni   che   restringono   la   possibilita'   delle
espropriazioni forzate in danno di enti sanitari  attraverso  vincoli
di impignorabilita' di determinati beni. 
    Il riferimento e' all'art. 1, comma quinto, del decreto-legge  18
gennaio 1993, n. 9 (convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67)  nel
contenuto precettivo risultante all'esito  della  pronuncia  additiva
della Consulta (Corte costituzionale, sent. 19 giugno 1995, n. 285). 
    In tale ipotesi, il vincolo di impignorabilita' in favore di enti
esercenti assistenza sanitaria concerne unicamente  beni  specificati
per natura (somme di denaro) finalisticamente devoluti a funzioni  ed
attivita' della p.a. definiti dal legislatore di primaria  importanza
(il pagamento  degli  stipendi  al  personale,  di  ratei  di  mutui,
l'erogazione di servizi sanitari essenziali), postula  l'adozione  di
un   provvedimento   amministrativo   (la   delibera   dell'ente   di
quantificazione  preventiva  degli  importi   occorrenti,   nell'arco
temporale di operativita' dell'atto, per appagare i bisogni  ex  lege
qualificati primari) ed e' condizionato, in punto di  efficacia,  dal
riscontro dell'effettivo  utilizzo  secondo  gli  scopi  prestabiliti
delle   somme   dichiarate   indisponibili   e   pertanto   sottratte
all'espropriazione  forzata:  l'impignorabilita'  infatti  non  opera
qualora l'ente pubblico distragga le somme, cioe' a dire le  impieghi
per  finalita'  differenti  da  quelle  salvaguardate   dalla   legge
(emettendo  mandati  di  pagamento  per  titoli  diversi  da   quelli
vincolati senza  seguire  l'ordine  cronologico  di  ricezione  delle
fatture  ovvero,  ove  non  prescritta  fattura,  di  adozione  delle
deliberazioni di impegno di spesa). 
    Una fattispecie cosi' strutturata consente di controllare ex post
la  concreta  attuazione  delle   finalita'   di   rilievo   pubblico
giustificanti,  nella  discrezionale  valutazione  comparativa  degli
interessi compiuta dal legislatore, la restrizione dell'oggetto delle
possibili azioni esecutive:  essa  e'  stata  pertanto  assunta  come
paradigma di riferimento dalla  Consulta  e  da  questa  estesa,  con
pronunce additive,  anche  alla  disciplina  degli  enti  locali  (il
richiamo e' alle declaratorie di incostituzionalita' rese dalla Corte
costituzionale con le sentenze  20  marzo  1998,  n.  69  -  relativa
all'art. 113, terzo comma, decreto legislativo 25 febbraio  1995,  n.
77 - e 18 giugno 2003, n. 211 - relativa all'art. 159, secondo comma,
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, cd. T.U.E.L.). 
    Un meccanismo analogo o in qualche modo similare  e'  invece  del
tutto mancante nella  disposizione  qui  censurata,  ancorche'  prima
facie  non  difficile  da  configurare  (per  ricalcare   lo   schema
illustrato,  l'impedimento  alle  azioni  esecutive   poteva   essere
sottoposto alla duplice condizione dell'avvenuta adozione  del  piano
di  ricognizione  dei  debiti  e  del  pagamento  di  essi  ad  opera
dell'azienda sanitaria secondo criteri razionali predeterminati dalla
legge). 
    In conseguenza, il sacrificio del diritto di azione del creditore
(che nell'art. 1, comma 51, legge n. 220/2010  e'  oltremodo  totale,
per essere in  radice  preclusa  ogni  espropriazione  forzata  nello
spatium  temporis  definito  dalla  norma)  rischia  in  concreto  di
divenire arbitrario e privo di  giustificazione  causale,  dacche'  a
fronte della piena disponibilita' dell'intero suo patrimonio (nonche'
della  liberazione  dei  beni-crediti   gia'   pignorati)   l'azienda
sanitaria debitrice ben potrebbe destinare le risorse finanziarie  ad
impieghi  differenti  dall'estinzione   dei   debiti   da   risanare,
continuando a  beneficiare  dell'esonero  dall'aggressione  esecutiva
(nella controversia in discorso, ad esempio, la ASL Napoli 1  Centro,
esecutata-opposta, non ha allegato - e a fortiori provato  -  nemmeno
l'esistenza del prescritto piano di ricognizione dei debiti). 
    Ancor piu' palese e' il vulnus al diritto di azione  nell'ipotesi
- ricorrente nella vicenda in parola - di  pignoramento  eseguito  in
epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 220/2010. 
    Qui  il  divieto  di  dare  ulteriore   corso   al   procedimento
espropriativo  con  le  ricadute  operative  innanzi  descritte   (la
chiusura anticipata della procedura con pronuncia di  definizione  in
rito, la vanificazione retroattiva di tutti gli effetti derivanti  da
un atto di pignoramento razione temporis legittimamente eseguito)  si
traduce, infatti, per il creditore pignorante in  un  pregiudizio  di
natura patrimoniale (che si  aggiunge  alle  conseguenze  lesive  del
diritto  di  azione  sopra  evidenziate),   consistente   nel   dover
sopportare, in nome  di  una  infruttuosita'  stabilita  per  edictum
principis, gli esborsi per gli atti processuali gia' compiuti  (spese
vive e competenze professionali del difensore). 
    Di palmare evidenza risulta,  poi,  la  violazione  del  basilare
principio di uguaglianza sancito  dall'art.  3,  comma  primo,  della
Costituzione. 
    Come  acutamente  gia'  osservato   dal   giudice   delle   leggi
occupandosi della -per vari versi antesignana dell'art. 1, comma  51,
legge n. 220/2010 - legge regionale Campania del 19 gennaio 2009,  n.
1, il blocco dei pignoramenti in danno  delle  aziende  sanitarie  ed
ospedaliere   «introduce   una   limitazione    al    soddisfacimento
patrimoniale  delle  ragioni  dei  creditori  [...]  assegnando  alle
situazioni soggettive di coloro che hanno avuto rapporti patrimoniali
con quegli enti  un  regime,  sostanziale  e  processuale,  peculiare
rispetto a quello (ordinario, previsto dal codice civile e da  quello
di  procedura  civile)  altrimenti  applicabile»  (cosi'   la   Corte
costituzionale nella citata sentenza 26 marzo 2010, n. 123). 
    A ben vedere, siffatta peculiare disciplina  concreta,  sotto  un
duplice aspetto, una disparita' di  trattamento  in  pregiudizio  dei
creditori  delle  aziende  sanitarie  ed  ospedaliere  delle  regioni
commissariate. 
    In primo luogo, per  la  tangibile  discriminazione  rispetto  ai
soggetti creditori di aziende sanitarie ed ospedaliere ubicate  nelle
regioni non commissariate per disavanzi nel settore sanitario, per  i
quali  l'impedimento  alla  coattiva  realizzazione   delle   pretese
creditorie stabilito dall'art. 1, comma 51,  legge  n.  220/2010  non
opera: situazioni quindi omologhe ma  dal  jus  positum  regolate  in
maniera differente. 
    Ancora,  e  soprattutto,  rispetto  alle  aziende  sanitarie   ed
ospedaliere cui si rivolge la norma: quest'ultime, benche'  debitrici
e quindi potenzialmente destinatarie di azioni esecutive,  godono  di
una sorta di immunita' totale dall'espropriazione  forzata  correlata
ad  un  mero  status  soggettivo  (l'essere   aziende   sanitarie   o
ospedaliere  ubicate  in  regioni  commissariate  per  disavanzi  nel
settore sanitario) secondo un criterio di  selezione  che,  peraltro,
suscita  non  insignificanti  perplessita'  (potendosi   ad   esempio
verificare  che  beneficiaria  del  blocco   dei   pignoramenti   sia
un'azienda  sanitaria  che,  pur  facendo  parte   di   una   regione
commissariata, non versi in difficolta' economiche). 
    Ne deriva un vero  e  proprio  privilegio  processuale  dell'ente
pubblico che non soltanto sovverte  la  condizione  dei  protagonisti
dell'espropriazione forzata ordinariamente delineata  dal  codice  di
rito (nel quale, come e' noto, il  debitore  esecutato  si  trova  in
condizione di soggezione, dovendo subire la privazione di propri beni
per il soddisfacimento dell'altrui diritto) ma si appalesa ancor piu'
irragionevole, ove si consideri che le aziende sanitarie usufruiscono
di un - altresi' peculiare - regime  di  impignorabilita'  avente  ad
oggetto  beni  destinati   all'espletamento   di   servizi   pubblici
essenziali  (quale  stabilito  dall'art.   1,   comma   quinto,   del
decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9) che continua  ad  operare  e  si
cumula, con conseguenze esiziali per le pretese  creditorie,  con  il
divieto  di  pignoramenti  imposto  dalla  norma  qui   tacciata   di
incostituzionalita'. 
    Ulteriori dubbi investono poi la conformita'  della  disposizione
in rassegna con il  principio  del  giusto  processo  come  declamato
nell'art. 111, secondo comma, Cost. 
    Il  divieto  delle  azioni   esecutive   si   pone   infatti   in
irrimediabile contrasto con il contenuto  precettivo  caratterizzante
la citata  norma  primaria,  ovvero,  segnatamente,  con  la  solenne
affermazione dei principi: 
    della parita' delle armi tra i contraddittori in lite, in ragione
della sopra  diffusamente  evidenziata  posizione  di  ingiustificato
privilegio attribuita alla p.a. parte esecutata  dall'art.  1,  comma
51, legge n. 220/2010; 
    della durata ragionevole  del  processo,  gravemente  compromessa
dalla non esercitabilita' della tutela giurisdizionale esecutiva  per
il considerevole di tempo previsto dalle succedutesi disposizioni  di
legge  (assommante,  come  sopra   specificato,   a   trentuno   mesi
consecutivi): al riguardo, e' appena  il  caso  di  rammentare  come,
secondo  l'opinione  preferibile,  la  valutazione  in  ordine   alla
ragionevolezza della durata del  processo  vada  calibrata  non  gia'
sulla singola azione spiegata, bensi' sulla pretesa sostanziale fatta
valere  in   giudizio,   cioe'   a   dire   sul   tempo   processuale
complessivamente occorrente per ottenere  la  concreta  realizzazione
del bene della vita di cui si e' invocata tutela. 
    Le  considerazioni  sin  qui  illustrate  convincono  della   non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' per  contrasto
con gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma e 111,  secondo  comma,
della Costituzione dell'art. 1, comma 51,  legge  n.  220/2010  nella
parte in cui vieta di intraprendere e di proseguire azioni  esecutive
nei confronti delle aziende  sanitarie  locali  e  ospedaliere  delle
regioni commissariate per disavanzo nel settore sanitario. 
    Quanto   alla   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  1,  comma  51,  legge  n.   220/2010,   e'
sufficiente osservare, come la presente controversia  di  opposizione
agli atti esecutivi verta sulla correttezza di una ordinanza con  cui
e' stata pronunciata, proprio ai sensi  della  menzionata  norma,  la
improcedibilita' di una espropriazione forzata intrapresa  (con  atto
di pignoramento eseguito il 20 aprile 2010) in danno  dell'ASL  NA  2
Nord facente parte della regione Campania, commissariati per dissesto
sanitario. 
    Risulta  pertanto  evidente   come   solo   alla   pronuncia   di
incostituzionalita' dell'art. 1, comma 51, legge  n.  220/2010  possa
conseguire l'accoglimento della opposizione ex art. 617 del codice di
procedura civile, l'annullamento della  ordinanza  resa  dal  g.e.  e
quindi, ricorrendone gli ulteriori presupposti, la soddisfazione  del
diritto  di  credito  fatto  valere  in  executivis   dal   creditore
procedente-opposto. 
    Rimessa   alla   Consulta   la   soluzione   dell'incidente    di
costituzionalita' con le  modalita'  prescritte  dall'art.  23  della
legge  11  marzo  1957,  n.  83,  va,  per  l'effetto,  disposta   la
sospensione del presente giudizio.